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Haiti, 10 anni dal terremoto. “Deye mon, gen mon” di Michele Farina, giornalista del Corriere della Sera.

 

Michele Farina, giornalista del Corriere della Sera, è stato in Haiti subito dopo il terremoto del 12 gennaio 2010 e ha visitato i nostri progetti. Questo il suo ricordo di quei giorni:

 

"Se la mia vita andasse a rotoli, saprei dove andare a riprenderne il filo: Haiti. Mi farei portare a Tabarre, all’ospedale pediatrico Saint Damien, che è vivo grazie agli amici della Fondazione Francesca Rava. Chi ha la fortuna di conoscerlo, perché ci è stato o perché lo sostiene da lontano, sa che l’aggettivo “vivo” non è fuori luogo. Anzi: è molto appropriato. Quell'ospedale è unico, ma non è un’oasi chiusa in se stessa e votata alla cura delle sofferenze. Fin dalla nascita, nel 2006, si è rivelato un motore di speranze, un ventilatore che sparge vita nella comunità, negli angoli più oscuri e trascurati di un Paese che offre alla maggioranza dei suoi abitanti una luce abbacinante e una povertà che acceca. L’ho visto in costruzione, il Saint Damien. E negli anni successivi, per il Corriere della Sera e per me stesso, oltre le sue mura protettive ho raccolto storie e incontrato persone straordinarie.

 

Molti dei miei ricordi più vividi sono legati a quel posto e alla sua gente, e perciò chi legge perdonerà se il mio scritto suona molto “personale”, come se si trattasse di “casa”. Con tanti colleghi giornalisti ci ho dormito (sul tetto) al tempo del terremoto, e in sala operatoria ho visto un chirurgo amputare una gamba a una bambina di due mesi rimasta schiacciata sotto un muro, e più tardi quello stesso chirurgo mettere un panino nelle mani della mamma che teneva in braccio il suo fagottino senza il coraggio di guardare sotto il lenzuolo.

 

Mi faccio prendere dalle emozioni: sono passati già dieci anni dai 250 mila morti del sisma, dagli impegni corali e internazionali per i sopravvissuti, per la rinascita del Paese più disastrato dell’emisfero settentrionale. Gli anniversari delle catastrofi sono spesso occasione per veloci rievocazioni, un punto furtivo e voyeristico su “ieri e oggi”, “dove eravamo rimasti”, “che fine hanno fatto”. Il passato e il presente: dieci anni dopo, il popolo di Haiti si ritrova a vivere una crisi umanitaria, prima che sociale e politica, forse senza precedenti. Scontri, sangue, povertà, paralisi, rabbia, malattie, élite che si combattono e bambini che muoiono: mangiano ancora tortine fatte di terra mentre i riflettori del mondo sono puntati altrove, e la tentazione di pensare soltanto al nostro ombelico è diventata uno sport internazionale.

Eppure, quel ventilatore di vita piantato nella piana di Tabarre gira sempre. Prende vento ed energia dalle montagne, dagli alberi sempreverdi e dai ragazzini sempre curati della Casa NPH di Kenscoff, si spinge fino alle scuole di strada di Cité Soleil, fa muovere le botteghe artigiane di Francisville, porta acqua ai quartieri assediati dalle gang e cure gratuite alle donne con il tumore al seno cui nessuno bada. Certo non va da solo, il ventilatore: ha bisogno di risorse e di forze, ma continua a girare grazie all’aiuto di tante italiane e di tanti italiani.

 

Le prime parole che ho scritto da Haiti, tanti anni fa, erano quelle di un bambino, Mackenson. Me le ha raccontate Adele, una ex hostess che aveva deciso di dedicarsi agli orfani di Kenscoff. Lui le diceva: “Adele, davvero il paradiso è pieno di fiori?”. Lei rispondeva: “Sì, pieno zeppo”. E lui: “Io però non ho più il naso. Come farò a sentirne il profumo?”. E Adele: “Lo sentirai anche tu, Mackenson, lo sentirai anche tu”.

Un tumore aveva straziato il volto di quel piccolo coraggioso. Ma io penso che il profumo della vita l’abbia sentito sempre, grazie all’amore delle persone che aveva intorno.

C’è un proverbio che racconta la rassegnazione e il realismo della gente di Haiti, otto milioni di persone, reddito medio un euro al giorno: “Deye mon, gen mon”. Oltre le montagne, ancora montagne. Dopo le difficoltà, ce ne sono altre. Be’, non è sempre così, non può essere sempre così. Grazie agli amici della Fondazione Rava, che ci fanno sentire il profumo della vita in un posto come Haiti, soprattutto in un posto come Haiti, dove la luce della gente è meravigliosa e la povertà accecante."

 

Michele Farina, giornalista del Corriere della Sera

 

 

GUARDA QUI "I SUONI DI HAITI", con la regia di FEDERICO TATICCHI e il testo di MICHELE FARINA

 

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Canale Notizie - 07-01-2020 - Segnala a un amico


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