Team 81: il nostro aiuto ai migranti continua, a bordo in questi giorni ci sono i volontari sanitari Maria Luisa e Alessandro.
Il team 81, composto da un pediatra e un infermiere volontari sanitari della Fondazione Francesca Rava, è imbarcato in questo giorni su Nave Borsini. Con loro c'è anche Emma, coordinattrice del progetto per la Fondazione.
"Siamo salpati 4 giorni fa dal porto di Augusta a bordo di nave Borsini. L’equipaggio è gentilissimo e disponibile: ognuno ci racconta il proprio compito sulla nave, la loro organizzazione, i disagi di vivere a lungo lontano dalle famiglie, ma anche la passione e la dedizione per il sevizio che svolgono e come l’operazione Mare Nostrum prima e ora Mare Sicuro abbia cambiato la loro vita e i loro compiti. Per noi è tutto nuovo e affascinante, sembra di essere catapultati in un film.
Oggi nella zona da noi presidiata viene segnalato un gommone con migranti a bordo, più di un centinaio, con donne e bambini e viene dichiarato evento SAR. L’organizzazione è ormai ben consolidata: i diversi team della nave si muovono in sinergia perché tutto sia pronto per l’accoglienza e la sicurezza di chi presta soccorso e di chi viene aiutato. Noi team sanitario approntiamo nell’hangar il materiale sanitario di primo soccorso e gli spazi destinati ai migranti: sul ponte gli uomini, al coperto nell’hangar le donne e i bambini. Poi ci vestiamo con i presidi per evitare ogni contagio: una tuta bianca che ci copre completamente, i calzari, doppi guanti, le mascherine chirurgiche, gli occhiali di protezione e siamo pronti per la nostra missione. Vedere dal ponte il gommone stipato di profughi stringe l’anima, ed il mare ora è calmo. Nella zona dell’operazione sono presenti diverse imbarcazioni e dal comando vengono assegnati i compiti. Le idrobarche vengono messe a mare con la presenza del nocchiere, di un sommozzatore e di un uomo del Battaglione San Marco che provvede alla sicurezza. Vengono subito consegnati i salvagenti e da una prima ispezione non sembrano esserci situazioni di emergenza sanitaria. I migranti vengono, quindi, fatti salire a piccoli gruppi sulle idrobarche iniziando dalle donne e mentre si avvicinano al Borsini per stemperare la tensione e la paura vengono fatte cantare: è bello vederle dal ponte battere le mani e sorridere, le salutiamo e cantiamo con loro. Quando le donne iniziano a salire dalla scaletta sul ponte volo il primo controllo è da parte del personale della San Marco che assicura che non ci siano armi o oggetti pericolosi. Poi è il nostro turno. Ci presentiamo come personale sanitario, stringiamo loro le mani e diciamo ‘welcome’ e sui loro volti affaticati e intimoriti compare a volte un timido sorriso fiducioso.
Ispezioniamo le mani, le braccia, l’addome, i piedi, chiediamo come stanno, se hanno male da qualche parte, se sono feriti. Dobbiamo identificare lesioni di sospetta scabbia per separare le persone infette e medicare le ferite da ustione o da taglio che qualcuno di loro presenta. Salgono anche due donne incinte, una all’8° mese e una al 6°: stanno abbastanza bene, non hanno dolore, sentono il bambino muovere, le facciamo subito sdraiare e le idratiamo. E poi due bimbetti, una di 4 anni e uno di 6, sorridenti e fiduciosi, con le loro mamme. I bambini sono proprio un canto alla vita: reduci da un viaggio che possiamo solo immaginare, ci regalano subito un sorriso meraviglioso e si affidano a noi senza riserve pronti a battere le mani, mangiare quello che offriamo loro, farsi coccolare.
Dopo il nostro controllo ogni migrante viene registrato per etnia, sesso, altezza, età e fatto sistemare negli spazi loro dedicati.
Due uomini sono debolissimi, non si reggono nemmeno in piedi, uno dice anche di avere male alla spalla, c’è edema, è stato probabilmente pestato. Li facciamo stendere, li idratiamo, i parametri sono buoni e si addormentano immediatamente. Anche la mamma della bimbetta trema, ha freddo, ha male ad una gamba. La facciamo stendere, le cambiamo i vestiti fradici, la facciamo bere, le diamo del paracetamolo, la copriamo con la metallina e dopo pochi istanti è addormentata e la sua piccoletta le si accuccia al fianco, come per proteggerla. Un ragazzo giovane quando dico che sono medico mi dice tutto orgoglioso che anche lui vuole fare il medico e mi sorride orgoglioso: glielo auguro di cuore di poter realizzare il suo sogno.
Viene distribuito ai migranti il pranzo e sali minerali ed acqua. Nel pomeriggio i profughi verranno trasbordati su un’altra nave che li porterà a terra. Sono tutti tranquilli, in discrete condizioni, rifocillati e reidratati. La nostra missione continua: ci sentiamo ormai un team ben affiatato anche con l’infermiera di bordo che ci affianca con professionalità e dedizione."
"Restano dentro gli sguardi e i volti delle persone salvate dal mare, i loro incubi, le loro paure. Quel cucciolo di pochi mesi che subito ha sorriso al biberon agguantato vorace con le manine, mentre la sua mamma, vistolo al sicuro, si è addormentata stremata. La gravida sola dagli occhi tristi che ha potuto riposare il corpo appesantito. La bimbetta dagli occhi neri come il carbone che non perdeva occasione di abbracciarmi e chiamarmi mamy, sorridendomi vispa. La vecchietta diabetica e cieca, ma anagraficamente ben più giovane di me, che ripetendo all'infinito ‘sugar’ ci ha fatto capire quale era il suo problema che abbiamo trattato prontamente con insulina. Il siriano con la crisi tetanica, probabilmente da iperventilazione, risolta con maschera senza ossigeno e diazepam, che mi ha stretto le mani ringraziandomi del tempo dedicato a lui personalmente. Il ragazzino somalo che mi ha toccato timidamente il fonendo che avevo al collo e mi ha detto che anche lui da grande vuole diventare dottore. La giovane nigeriana che si stupiva della nostra gentilezza. Le donne che ci chiamavano "sister" per chiedere il latte o i pannolini per i loro bambini, sorridenti quando li tenevamo noi in braccio, consentendo loro di riposare un po’. I bimbi allegri e vivaci, subito pronti al gioco con i palloncini improvvisati con i guanti di protezione. Se penso alla cura e alla dedizione che riserviamo ai nostri figli, spesso unici, sembra incredibile che si possa far viaggiare bambini anche piccolissimi in quelle condizioni di pericolo e precarietà. Mi chiedo quale mondo possa accettare di non proteggere e preservare i propri cuccioli che sono il nostro domani e la nostra speranza, quale declino spaventoso ci attende se anche l’infanzia non è più per noi adulti quel giardino di sacralità e bellezza che nulla deve violare e ferire.
Di ognuno avrei voluto conoscere la storia, la famiglia, la terra da cui proviene, i cari che ha perduto, il perché del suo viaggio, le brutalità subite, il bene ricevuto, le potenzialità e le competenze, i sogni e le aspettative. Ma dovevo e potevo solo correre per curare, aiutare, sfamare, idratare, medicare, soccorrere, consolare. Mi resta la convinzione di aver fatto troppo poco per loro, averli solo sfiorati nella loro vicenda, non aver inciso sul loro destino, non aver capito nulla di ciò che ci sta dietro a questa brutale tratta di esseri umani e aver ricevuto molto più di quel poco dato. Le cicatrici, le ferite, le ustioni sui corpi martoriati restano incise nel cuore.
Quando uno alla volta li ho visti sbarcare sul molo di Palermo ho pensato che ognuno di loro è una persona, con la sua storia, le sue necessità, i suoi bisogni, non certo solo un numero di una statistica e mi chiedo cosa ne sarà di loro, in quale campo finiranno, se ritroveranno il parente in Svezia e lo riusciranno mai a raggiungere, se verrà riconosciuto loro il diritto d’asilo, se comunque saranno almeno guardati con il rispetto e la considerazione che merita ogni essere umano, specie se solo e indifeso, dalla nostra civile e progredita società.
Incontrare di persona i migranti, guardarli negli occhi, curarli non consente più di pensare a questa tragedia come qualcosa che interessa altri, non in grado di scalfire la nostra placida e tiepida indifferenza. Sono uomini, donne, bambini che hanno solo avuto la sfortuna di nascere qualche migliaio di chilometri più a sud di noi, come noi, con gli stessi diritti, le stesse aspettative, gli stessi sogni che ciascuno di noi ha. Non può trovare spazio la superficialità di giudizio, dettata dalla paura e dall'ignoranza".
Maria Luisa, pediatra
Canale Notizie - 11-07-2016 - Segnala a un amico